Cuiabá, 1ero de Janeiro 2005

Cuiabá é o Inferno, dunque. Forse è vero, fa caldo e umido, ed è tutto chiuso perché festa. Solo poche ore prima che riparta l’aereo, vado al nord-este e vado al mare, dopo tanto verde un po’ di blu mi farà bene. Piove e il caldo umido ti si scioglie addosso, piove acqua calda che subito evapora e ti lascia sudato come prima. Il tassista mi mostra una, poi due chiese diverse, chiuse anche loro, e si dispiace perché sua figlia non si sposerà là dentro come lui aveva sognato, non è cattolica ma del resto, dice, ognuno ha diritto di fare come si sente. Vero, concordo. Peccato per la coreografia, vocé quiere tomar foto? No, grazie, ho finito la pellicola – mento per non deluderlo, è così appassionato di questa chiesa rosa che a me ricorda tanto Disney World, non la vorrei tra i ricordi di viaggio. Mi mostra anche un distretto militare, ce ne sono quattro per via della vicinanza con la frontiera Boliviana ma, dice, non servono a nulla perché la Bolivia è uno stato piccolo che non ha motivo di attaccar briga e qui, graças à Deus, não temos nada.

Tanta cordialità chiacchierona mi costa qualcosa in più ma pazienza, penso, gli farà comodo qualche reais extra.

Frankfurt am Main - São Paulo, 24 Dez. 2004

Sali sull'aereo della Varig ed è già Brasile. Comincia qui la festa, musica allegra - forse una bossa nova? la mia troppa ignoranza non mi aiuta - e già hai voglia di ballare, via, sparita in un battere e levare la stanchezza di ore di bivacco in aeroporto, spariti i bambini che frignano perché stanchi di aspettare, sparito anche il retrogusto immondo del tramezzino per germanici che ho ingurgitato senza indagare sul ripieno.

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Piccola considerazione: i tedeschi forse sono un popolo privo di papille gustative, e dalle enormi mandibole. Il mio tramezzino (al salame, dichiarava la confezione. Mentendo) era talmente spesso da non riuscire ad addentarlo. Ed il ripieno, oltre che di un paio di esangui fettine di salame industriale, faceva orgogliosa mostra di: uovo sodo, maionese in quantità, mais o soia impossibili da distinguere, altra verdura mimetizzata che avrebbe potuto essere cetriolo, una probabile spruzzatina di aceto. Moderatamente schifoso. Del resto, mangiare cibi immangiabili fa già vacanza. Ma intanto invidiavo i signori accanto a me, che estraevano da una sacca torte e panini caserecci con evidente soddisfazione. Beati loro... famiglia bizzarramente assortita, german-nipponica o german-asiatica in generale, un melting pot teuto-nipponico che può ricordare alleanze belliche ormai passate. In realtà di famigliole analoghe ne ho osservate più di una, in queste ore di attesa, e mi dico che allora, forse (seconda considerazione), non è poi una cosa tanto bizzarra, almeno in Germania. Chi sa.

Infine, terza considerazione. Un tempo non lontanissimo, diciamo una ventina di anni fa, viaggiare in aereo era una cosa fuori dall’ordinario, un lusso che solo in pochi si potevano permettere. Ed infatti io non ero tra i pochi fortunati. Adesso è diventato più alla portata di tasche comuni, e te ne accorgi subito non appena metti piede in aeroporto. Famigliole intere con tonnellate di bagagli al seguito si spostano in aereo, bimbi compresi. Gli italiani in genere si distinguono per la caciara e per il cattivo gusto, e pertanto li evito come la peste (una volta, aeroporto di Copenhagen, un italiano si è avvicinato per chiedermi in inglese di fargli una foto. Manco fossi straniera!). Siccome però adesso si prende l’aereo quasi come si prendeva il treno, le hall somigliano sempre più a sale d’aspetto. Dei treni, appunto. Gente sdraiata a bivaccare dove capita, fracasso, un po’ più sporcizia di quello che sarebbe lecito aspettarsi in una aeroporto. Specialmente visto il costo dei biglietti.

E poi, visto che osservo. Seduto per terra accanto a me c’è un ragazzo più o meno della mia età, bello, con tratti somatici da Apache- zigomo alto, capelli neri, aria fiera. Legge il Times, come faccio io. Si sofferma sugli articoli sui quali anche io mi ero soffermata, né più né meno. Estrae un pc, uguale al mio, Think Pad IBM. E si mette a giocare a free-cell, come farei io se avessi qui il pc. Dopo un po’ traffica con delle foto, per ingannare l’attesa. Considerazione. Siamo poi così diversi, se abbiamo passatempi così fotocopia. Sicuramente se glielo chiedessi mi risponderebbe che sì, anche a lui piace il cabernet sauvignon e la cucina internazionale. Non ho con me fotocamere o cellulari di ultima generazione, altrimenti sicuro che sarebbero uguali ai suoi. Scommetto che ci sono almeno dieci posti al modo che entrambi abbiamo visitato, stessi film visti, stessa musica ascoltata. Praticamente, siamo due consumatori quasi intercambiabili – e non so nemmeno di che Paese sia il suo passaporto. Non so, non mi sono ancora abituata bene all’idea che in realtà ci sia così poca differenza nei consumi, laddove invece ce ne sono di enormi nelle abitudini, lingua, usanze. O forse no?

Ultima nota, si vede che mi sto proprio annoiando in questa attesa. La prima volta che ho visto l’aeroporto di Frankfurt era il 1991, e mi aveva colpito il sistema di raccolta differenziata che già all’epoca ti costringeva a decidere se stavi buttando carta, spazzatura qualunque, vetro o imballi per alimenti. In tutti questi anni il sistema è rimasto lo stesso, stessi i cestini. Sarei curiosa di sapere quanto hanno riciclato, dev’essere un bel po’ visti i tanti passeggeri. Chissà se qualche istituto statistico teutonico ci ha pensato, a fare i conti.